…è strano che oggi abbia ripensato a questo libro…o forse non è strano per niente….
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Una mattina due portatori vi deposero un uomo barbuto con i capelli irsuti coperti di cenere.
Era legato a una sedia e non aveva nè gambe nè mani. Era monco e lebbroso. E tuttavia, dal suo viso giovanile irradiava una gioia sorprendente in un simile sventurato.
“grande fratello Paul, mi chiamo Anouar” dichiarò. ” Bisogna che tu mi curi, vedi sono molto malato.”
Lo sguardo gli cadde allora sull’immagine della Sacra Sindone.
“Chi è?” chiese sorpreso.
“E’ Gesù”
Il lebbroso parve incredulo.
“Gesù? No, non è possibile. NOn assomiglia a quell’altro. Perchè il tuo Gesù ha gli occhi chiusi e l’aria così triste?”
Paul Lambert sapeva che l’iconografia indiana riproduceva abbondantemente l’immagine di un Cristo biondo con gli occhi azzurri, trionfante e colorato come gli dei del panteon indù.
“Ha sofferto” disse.
Il sacerdote sentì che bisognava spiegare meglio. Una delle figlie di Margareta venne a tradurre le sue parole in bengalese.
“Se ha gli occhi chiusi, è per vederci meglio” riprese. “E’ anche perchè noi lo possiamo guardare meglio. Forse non oseremmo se avesse gli occhi aperti. Perchè i nostri occhi non sono occhi puri, e neanche i nostri cuori, e noi siamo in gran parte responsabili delle sue sofferenze. Se soffre, è a causa mia, tua causa di tutti noi. A causa dei nostri peccati, del male che facciamo. Ma lui ci ama talmente che ci perdona. Vuole che lo guardiamo, ecco perchè chiude gli occhi. E i suoi occhi chiusi m’invitano a chiudere anche i miei, a pregare, a guardare Dio dentro di me…e anche dentro di te. E ad amarlo. E a fare come lui, a perdonare tutti, e ad amare tutti. Ad amare soprattutto quelli che soffrono come Lui. Ad amare te che soffri come Lui…”
Una bambina vestita di stracci che era rimasta nascosta dietro la sedia del monco lebbroso andò a deporre un bacio sull’immagine e la accarezzò con la manina. Dopo essersi portata tre dita alla fronte, mormorò:
“Ki koshto! Come soffre!”
Il lebbroso sembrava commosso. Gli occhi neri gli si erano fatti lucidi.
“Soffre” disse ancora Lambert “Eppure non vuole che piangiamo su di Lui. Ma su coloro che soffrono oggi. Perchè Lui soffre con loro. Soffre nel loro corpo come nel cuore degli isolati, dei derelitti, dei disprezzati, come nella mente dei pazzi, dei nevrotici, degli squilibrati. E’ per questo, capisci, che amo questa immagine.Perchè mi ricorda tutte queste cose”
Il lebbroso tentennò il capo con aria pensierosa, poi alzò il moncherino verso l’icona.
“Grande fratello Paul, il tuo Gesù è molto più bello di quello delle immagini sacre”.
….
La città della gioia – D. Lapierre
Un libro “sull’epopea dell’eroismo, dell’amore e della fede; uno splendido tributo alla capacità dell’uomo di superare le avversità e di sopravvivere a qualunque catastrofe. (…) Ho imparato come le persone possano vivere insieme a topi, scorpioni ed insetti, sopravvivere con pochi cucchiai di riso e una o due banane al giorno, fare ore di code per usare le latrine, lavarsi con meno di mezzo litro d’acqua, accendere un fiammifero in pieno monsone, dividere le loro abitazioni con un gruppo di eunuchi.
…Un’esperienza che ha cambiato la mia vita. Dopo essermi trovato a faccia a faccia con i veri problemi dell’esistenza – fame, malattie, mancanza assoluta di attrezzature mediche, disoccupazione – ho smesso di lottare per cose banali come un parcheggio, quando torno in Europa o in America.
Condividere per tutti quei mesi l’esistenza di una popolazione che in certi casi deve vivere con appena l’equivalente di un quarto di dollaro al giorno mi ha insegnato anche il vero valore degli oggetti. Ora per me è istintivo spegnere la luce uscendo da una stanza, usare la saponetta fino all’ultima scaglia, non buttare nella spazzatura ciò che si può conservare o riutilizzare. Queste esperienze fuori dal comune mi hanno anche insegnato quanto sia meraviglioso condividere le cose con gli altri. Per due anni non mi è stato chiesto nulla, e in compenso mi è sempre stato dato tutto. La generosità dei miei amici della Città della Gioia mi ha rivelato il vero significato di quel bellissimo proverbio indiano che dice: “TUTTO CIO’ CHE NON VIENE DONATO VA’ PERDUTO”.
Tratto dalla postfazione al citato libro.
E’ bello…ma la cosa strabiliante è che non è un pesce d’aprile!!!!
c’è davvero a questo mondo tanto amore…basta volerlo vedere, anche dove meno te lo aspetti…come nel sorriso di un lebbroso.