Venerdi mattina ho accompagnato ex-piccola freccia ora denominato Puffetto
Brontolino in ospedale per degli esami. Eravamo nella corsia di aspetto attigua alle sale operatorie di chirurgia e c’era un gran traffico di gente che passava o sostava come noi.
Tra tutti attiravano l’attenzione tre persone: una donna seduta con ai fianchi un ragazzo ed una ragazza adolescenti che a turno abbracciava, teneva la testa affettuosamente tra le mani ora dell’uno ora dell’altra…. e parlottava sommessamente.
Ad un tratto dal fondo del corridoio arrivava un inserviente spingendo un largo carrello e approssimandosi a noi ha detto in tono deciso “attenti ai piedi” perchè sebbene il corridoio fosse abbastanza largo c’eravamo io e Puffetto Brontolino seduti da un lato e dell’altro quella famiglia.
Il ragazzo a quel punto ci ha colti tutti di sorpresa reagendo con un’aggressività che non era adatta alla situazione ne al luogo. Lì per lì istantaneamente ho pensato al solito ragazzo viziato e maleducato. Ma solo per un istante. Mentre l’inserviente si era rivolto al ragazzo “ricambiando” altrettanta rabbia per quella reazione…la donna l’ha guardato con occhi tristi dicendogli “lo perdoni, ha il papà che sta morendo”.
Mi si fermato il sangue nelle vene.
L’inserviente un po’ irritato si è allontanato con altri colleghi ed io sono rimasta lì di fronte a cercare di immaginare cosa stessero provando quelle persone.
Dopo non molto è arrivata la notizia: il papà non ce l’aveva fatta.
Abbracci, lacrime, dolore sommesso ….e cellulari per dare la notizia.
La mamma con una dolcezza infinita confortava i due figli con tutto l’amore del mondo…dentro di me immagino un amore reso milioni di volte più intenso dal dolore che essa stessa stava provando.
Guardavo la scena….il sopraggiungere lento di parenti ed amici nel corso della mattinata, fazzoletti, occhi rossi, occhiali scuri per celari, e talvolta risate nervose.
Immagino la rabbia del ragazzo. Perdere un padre ad un’età che molto probabilmente la stessa di mio figlio o poco più….avrà avuto anche lui circa diciassette diciotto anni…un’età molto critica per un ragazzo è una fenditura che si crea dentro la costruzione del muro portante della personalità di uomo adulto che penso inizi a prendere forma a questa età.
Immagino lo sconcerto della ragazza….quella che meno lasciava trapelare le sue emozioni….e….senza averlo voluto volontariamente…mi sono ritrovata nel passato.
Un passato con una madre che perde padre dei suoi figli…..una ragazza di circa 16 anni ed un ragazzo di 14. Ragazzi ancora da crescere.
Ricordo quella ragazza sui banchi di scuola. La porta dell’aula che si apre: “Angela **** deve uscire, è venuta a prenderla una persona”. Cosa era successo? Non pensavo al mio papà, il giorno precedente in ospedale i medici avevano detto che stava meglio e che proprio quella mattina l’avrebbero dimesso. Invece era arrivata la notizia che avevamo temuto nei giorni precedenti e che poi invece avevamo visto con sollievo allontanarsi…almeno per il momento.
Una madre, una donna coraggiosa. Una donna pratica che sa che di tempo per piangere ce n’è poco.
Anche quella ragazza di 16 anni intimamente sa che piangere è qualcosa da non fare.
Deve trasmettere coraggio a sua mamma, non le può dare il carico della sua perdita.
Quella ragazza piangerà un anno dopo. Percorrendo una strada, incontra un volto amico dopo tanto tempo. Saluti, abbracci, convenevoli e poi, dopo altre, anche “quella” domanda “e come sta tuo padre?”.
E finalmente…con una persona che è poco più di un conoscente, in mezzo ad una strada…eccoli finalmente gli occhi che lasciano scivolare le lacrime “è morto un anno fa”.
Non lo sapevo, condoglianze.
Già la odiavo quella parola….da quel giorno decisi che non l’avrei mai usata.
Condoglianze.
La percepivo fredda. La lama di un coltello che allontana la morte dalla vita.
Quella parola che ti dice che è così. Che non ci puoi fare più niente. Che tu sei qui su questa terra e devi andare avanti mentre l’altro non c’è più.
Ricordo che sedicenne….non diedi spazio al dolore. Non mi permisi di sentirlo.
Il vuoto della figura di mio padre non c’era. C’era mia madre. Dovevo essere forte per lei. Dovevo non sentire nessuna mancanza…perchè mia madre era bravissima a fare da mamma e papà contemporanemente. Era già stata brava ad essere praticamente tutto.
Il vuoto per la mancanza del calore di un padre che ti abbraccia, ti conforta, ti sorregge e ti incoraggia …pensa tu i casi della vita…l’ho sentito a quarant’anni.
Quando le forze dentro di me si erano esaurite e mia madre la tenevo lontana…per proteggerla dalla mia rabbia e proteggere me dalla sua necessità di sostituirsi a me.
Se dovevo crollare ..sarei crollata. Se dovevo farcela…volevo farcela sulle mie gambe.
Con i miei passi, con le mie decisioni. Anche se fossero state decisioni sbagliate.
Mi sono ripresa la mia guerra per l’indipendenza.
Quella guerra mai avvenuta nell’età adolescenziale perchè istintivamente sapevo di non potermela permettere. Perchè non potevo dare altri pesi sulle spalle di mia madre.
Una donna già così duramente provata dalla vita.
Forte si….ma pur sempre una donna.
E poi dopo questo viaggio nel passato dei ricordi alcuni nitidi, altri persi nella nebbia…sono tornata in quella corsia d’ospedale. Con mio figlio accanto a me.
Con quei ragazzi che erano tornati a sedersi accanto a noi…nel frattempo si erano fatte quasi le due…..e sento il ragazzo dire alla sorella che anche la loro amica non aveva mangiato nulla…chi va al bar a prendere dei panini? Lui lo voleva con il prosciutto cotto e ben caldo.
Ecco…..ora sorrido intimamente. Il suono di quelle voci che decidevano cosa mangiare, che panino prendere…era un suono che conosco 🙂
il suono della vita che torna.